domenica 27 dicembre 2015

Contatto sociale: possibilità di risarcimento danni in caso di violazione degli obblighi di informazione

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Contatto sociale: possibilità di risarcimento danni in caso di violazione degli obblighi di informazione 

La Corte di Cassazione, Sezione Prima, con Sentenza n. 20560 del 13 Ottobre 2015, è tornata ad occuparsi della violazione degli obblighi di informazione derivanti da contatto sociale.

Fatto 
Nel Dicembre 2003, un gruppo di azionisti di minoranza citava in giudizio innanzi al Tribunale di Milano la Fondiaria-Sai spa, Premafin Finanziaria Holding di Partecipazioni spa e Mediobanca, per violazione degli obblighi di lancio di offerta pubblica di acquisto di cui all'art. 106 del D. Lgs. 58/1998. In sostanza, gli attori si lamentavano del fatto che i convenuti, pur detenendo oltre il 30% del capitale azionario disponibile, avevano omesso di lanciare un'offerta pubblica di acquisto.
Il Tribunale di Milano accoglieva la domanda e condannava i convenuti al risarcimento dei danni subiti.
La sentenza del giudice di prime cure veniva appellata dai convenuti innanzi alla Corte di Appello di Milano che ribaltava il verdetto di primo grado stabilendo che non era da riconoscere alcuna somma a a titolo di risarcimento danni a favore degli azionisti.
Avverso la sentenza della Corte di Appello di Milano veniva proposto ricorso per cassazione da parte del gruppo di azionisti rimasti insoddisfatti dalla pronuncia del giudice di seconde cure.

Decisione
Orbene, la Corte di Cassazione ha confermato l'esistenza di un vero e proprio obbligo di lanciare l'offerta pubblica di acquisto ai sensi dell'art. 106 del D. Lgs. 58/1998 (Testo Unico Finanza) e non un generico dovere. La Cassazione, in linea con la giurisprudenza dominante tendente ad ammettere la possibilità dell'esistenza di obbligazioni derivanti da contatto sociale (Corte di Cassazione, Sezione Prima, Sentenza n. 14400/2012), ha sancito che ai ricorrenti venga riconosciuto il risarcimento del danno nel limite del mancato guadagno patito per effetto della condotta antigiuridica posta in essere dai controricorrenti.
In sostanza, la Corte di Cassazione ha ritenuto che tra i ricorrenti e le società convenute esisteva un rapporto privilegiato basato sull'altrui affidamento, meglio noto come contatto sociale, in virtù del quale l'omessa informazione in favore dei ricorrenti, concretizzava un vero e proprio inadempimento di carattere obbligatorio. 
La Suprema Corte ha ritenuto che a carico dei controricorrenti incombeva l'obbligo di informare i piccoli azionisti circa l'acquisizione della maggioranza azionaria. In base a tale informazioni, i piccoli azionisti avrebbero potuto esercitare un "diritto di exit" con contestuale realizzo del cd. premio di controllo. La mancanza di adempimento a tale obbligo realizzava la lesione della sfera giuridica dei piccoli azionisti che, per effetto di tale condotta, si erano visti preclusi una possibilità di guadagno. 

Conclusione 
La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso degli azionisti di minoranza ed ha rinviato la causa alla Corte di Appello di Milano affinché proceda a nuovo esame della vicenda, accertando e liquidando la relativa entità del danno cagionato ai piccoli azionisti in seguito della dimostrazione di aver perso una possibilità di guadagno a causa della mancata promozione dell'offerta.

giovedì 24 dicembre 2015

Contratti: possibile provare per testi l'esistenza del credito in materia di vendita di beni mobili registrati

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Contratti: possibile provare per testi l'esistenza del credito in materia di vendita di beni mobili registrati 

Contratti. Prova testimoniale. Esclusione del divieto di prova di cui all'art. 2722 del codice civile in materia di vendita di beni mobili registrati. Ammissibilità della prova per testi in caso di accertamento del credito in presenza di quietanza di pagamento. Difetto di "efficacia pienbrobante" della quietanza di pagamento rilasciata dal venditore di autoveicoli allo scopo di velocizzare la pratica amministrativa inerente alla vendita del bene ai sensi dell'art. 13 del R.D. n. 1814/1927 (Pubblico Registro Automobilistico) 

La Corte di Cassazione, Sezioni Unite, con Sentenza n. 19888 del 22 Settembre 2014, Relatore Alberto GIUSTI, emessa in seguito all'Ordinanza Interlocutoria n. 17869/2013, Corte di Cassazione, Sezione Seconda, ha affrontato diffusamente  il tema dell'ammissione del mezzo di prova testimoniale nell'ambito dei contratti aventi per oggetto la vendita di beni mobili registrati.

Fatto
La Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, si è occupata del di mancato pagamento di un autocarro da parte di una società lombarda che assumeva di aver provveduto al pagamento degli importi dovuti già in precedenza. A sostegno della propria tesi, l'acquirente esibiva quietanza di pagamento sottoscritta, ed autenticata per atto notarile, dal venditore.

Decisione
La Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, diversamente ritenendo da quanto stabilito dal giudice di prime cure, ma conformandosi all'orientamento della corte di appello del capoluogo lombardo, ha rigettato il ricorso dell'acquirente tendente alla cassazione del provvedimento della Corte di Appello di Milano.
Le Sezioni Unite della Cassazione hanno ritenuto legittimo l'operato della Corte di Appello di Milano nella parte in cui ha dichiarato l'ammissibilità della prova testimoniale per l'avvaloramento della tesi del mancato pagamento degli importi pattuiti nel contratto di compravendita tra la concessionaria e l'aquirente.
Il ragionamento giuridico delle Sezioni Unite della Cassazione si è imperniato sul fatto che la quietanza liberatoria, benchè sottoscritta dal venditore ed autenticata per atto notarile, era stata emessa dalla concessionaria ai soli fini amministrativi.
Infatti, ai sensi dell'art. 13 del R.D. n. 1814/1927, la vendita di veicoli cd. pesanti si perfeziona solo in seguito all'iscrizione nel Pubblico Registro Automobilistico. E' proprio, e solamente, nei confronti di tale organismo che la certificazione esplica i suoi effetti.
Orbene, alla luce di siffatta considerazione, le Sezioni Unite della Cassazione hanno ritenuto infondato la doglianza dell'acquirente di violazione dell'art. 2722 del codice civile. In sostanza, le Sezioni Unite della Cassazione hanno ritenuto che la quietanza di pagamento, essendo stata emessa ai soli fini legali di cui al richiamato Regio Decreto, sia priva di efficacia pienbrobante.
D'altro canto, dichiararne l'inammissibilità significava vulnerare la parte (concessionario) di uno strumento probatorio atto a comprometterne le proprie ragioni creditizie. In sostanza, la mancata ammissione della prova testimoniale, nei ricorrenti casi di vendita di beni mobili soggetti sottoposti ad iscrizione Pra, minerebbe l'intero sistema di vendita del mercato degli autocarri e consentirebbe, peraltro, di raggiungere un obiettivo di carattere sostanziale (vendita) per il tramite del rilascio di formalità di rito (quietanze), previste ai soli fini amministrativi dalla normativa vigente in materia di iscrizione di privilegi ipotecari su beni mobili registrati.
Inoltre, a nulla è valsa l'altra doglianza dell'acquirente in merito a quanto dedotto circa l'ammissibilità della prova testimoniale in sede di appello. A tal proposito, le Sezioni Unite hanno affermato che l'ammissione della prova testimoniale in sede di gravame è del legittima ed in linea con il cd. principio di unicità della prova, che, pure, l'acquirente ne lamentava la violazione. La Cassazione ha chiarito che la prova testimoniale era stata ammessa ed esperita in maniera unica ed unitaria, senza alcun frazionamento. In tal caso, nessuna violazione del richiamato principio di unicità della prova in quanto l'ammissione del mezzo istruttori, benchè richiesto a fortiori, si è svolto in modo unico ed unitario nel corso del giudizio di appello.


Conclusione
Pertanto, alla luce delle considerazioni svolte innanzi, la Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, conformandosi alla sentenza della Corte di Appello di Milano, ha rigettato il ricorso dell'acquirente tendente alla cassazione di tale pronuncia confermando la corretta applicazione della normativa di cui all'art. 2722 c.c. da parte dalla parte della corte territoriale lombarda.

domenica 20 dicembre 2015

Locazioni: nullità della controdichiarazione

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Locazioni: nullità della controdichiarazione

La Corte di Cassazione, Sezioni Unite, con Sentenza n. 18213 del 17 Settembre 2015, Relatore Giacomo Travaglino, chiamata a pronunciarsi in seguito alla pronuncia della Corte di Cassazione, Sezione Terza, Ordinanza Interlocutoria n. 37/2014ha rigettato il ricorso proposto dal proprietario di un villino romano nei confronti dei relativi conduttori.

Fatto
Il proprietario di un villino romano conveniva in giudizio i conduttori dell'immobile di sua proprietà innanzi al Tribunale di Roma, Sezione staccata di Ostia, per morosità.

Costituitosi in giudizio, i convenuti (gli affittuari) eccepivano l'infondatezza della domanda attorea (proprietario del villino) riferendo di essere in regola con pagamento del fitto come da contratto di locazione che si depositava agli atti del fascicolo del giudice di prime cure. Inoltre, i convenuti, che sulla scorta della richiesta processuale attorea, ritenendo di vantare credito presso il proprietario dell'immobile locato in virtù del fatto che era vigente tra loro un contratto di locazione con importi nettamente inferiori rispetto a quello azionato in giudizio, richiedevano il pagamento degli importi mensili incautamente corrisposti dagli stessi ed indebitamente ritenuti dal proprietario del villino.

Dal canto suo, il proprietario del villino insisteva per l'accoglimento della propria tesi e riferiva l'esistenza di un contratto legale, redatto a soli fini elusivi di norme imperative fiscali, e di un contratto reale contenente, a sua volta, l'esatto importo mensile da pagare.

Il Tribunale di Roma, sezione staccata di Ostia, così decideva: a) rigettava il ricorso del proprietario del villino ritenendo nullo il contratto reale, quello dissimulato, ai sensi dell'art. 13 della legge n. 431 del 1998; b) condannava l'attore (il proprietario del villino) alla restituzione della somma pagata dai conduttori del villino a titolo di differenza rispetto agli importi previsti nel contratto legale a titolo di indebito oggettivo.

Il proprietario del villino proponeva appello avverso tale sentenza e, rifacendosi alla circostanza che il contratto dissimulato era stato stipulato in epoca successiva a quello reale, riteneva che il giudice di prime cure fosse incorso in errore di fatto.

A nulla valsero l'impugnazione del proprietario del villino, la Corte di Appello di Roma rigettava la predetta impugnativa e confermava l'interpretazione che  della vicenda ne aveva data il Tribunale di Roma.

Visto il provvedimento della Corte capitolina, il convenuto ricorreva in Cassazione per la definitiva risoluzione della controversia.

Decisione
La Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, soffermandosi, anzitutto, sulla natura e sulla morfologia della controdichiarazione, ha provveduto ad isolare tre fattispecie da tutto il resto della vicenda processuale: a) l'accordo simulatorio intervenuto tra il proprietario del villino ed i suoi occupanti; b) il contratto di locazione, quello registrato ai fini legali, contenente l'indicazione del canone ai fini impositivi; c) la controdichiarazione scritta contenente l'esatta indicazione degli importi maggiorati che il proprietario del villino aveva interessa ad incassare in spregio delle leggi tributarie vigenti.

Orbene, le Sezioni Unite, richiamandosi all'art. 13 della legge 431/98, in contrasto con il proprio precedente giurisprudenziale, sentenza n. 16089/2003 il quale, seppure in linea di massima aveva consentito l'equiparazione di atti omogeni (anche se qui si trattava di vicenda avente diverso oggetto processuale) ritiene  che la pattuizione di cui alla lettera c) della distinzione di cui sopra, sia da ritenere nulla in virtù del fatto che è impossibile, dal punto di vista giuridico, procedere alla comparazione dell'atto controdichiarativo, peraltro privo di registrazione, con quello legalmente vigente tra le parti.

D'altra parte, ritenere possibile la comparazione dell'atto dissimulato, non registrato, con il contratto legale, regolarmente registrato ai fini fiscali, significa far assurgere, il primo, a rango di atto negoziale liberamente assunto in autonomia tra le parti mentre, tale atto, si qualifica, pur sempre, quale atto elusivo cui l'ordinamento giuridico priva di qualsiasi effetto giuridico.

Soltanto un nuovo accordo di carattere novativo consentirebbe di modificare, in aumento o in diminuzione, il precedente contratto di locazione.

Il ragionamento giuridico della Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, ha preso piede dalla incomparabilità dell'atto controdichiarativo con quello negoziale, regolarmente registrato, avente corso legale tra le parti.

Il ragionamento della Suprema Corte si è rifatto alla voluntas del legislatore del 1998. Si è orientata all'orientamento del legislatore dell'epoca per condividerne le ratio posta a fondamento dell'emanazione della legge in materia di locazioni: disciplinare in materia unitaria la materia delle locazioni abitative alla luce fenomeni, ratione temporis, del cd. mercato nero degli affitti, avendo cura di coniugare le opposte esigenze dei proprietari immobiliari con quelle degli affittuari.

La Suprema Corte ha inteso aderire alla cd. visione protezionista adottata dal legislatore dell'epoca ovvero quella volta a proteggere i soggetti in cerca di soluzioni immobiliari da locare (cd. contraente debole).

In sostanza, sanzionando di nullità la previsione occulta di una maggiorazione del canone apparente, la Suprema Corte ha inteso scongiurare: a) la proliferazione del fenomeno delle cd. locazioni in nero; b) l'avverarsi di una condizione di fatto in base alla quale il soggetto alla ricerca di un immobile da ricevere in godimento, cd. parte debole, possa essere indotto a sottoscrivere una siffatta dichiarazione di maggiorazione del canone di locazione in forza della quale viene previsto una maggiorazione del canone di locazione diversamente da quanto stabilito da contratto originario.

Conclusione
La Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, alla luce del ragionamento giuridico di cui sopra, rigettando il ricorso del proprietario del villino, ha sancito la nullità assoluta di qualsiasi atto controdichiarativo sottoscritto in deroga al contratto legale vigente tra le parti.

sabato 19 dicembre 2015

Colpa medica ed informazione: onere della prova a carico del sanitario

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Colpa medica ed informazione: onere della prova a carico del sanitario

La Corte di Cassazione, con Sentenza n. 24220 del 27 Novembre 2015, Relatore Giuseppina Luciana Barreca, ha accolto il ricorso di una coppia di coniugi mantovani che chiedeva la condanna al risarcimento dei danni del ginecologo cui la coppia si era rivolta per effettuare tutti gli accertamenti clinici necessari al fine di scongiurare la nascita di un feto malformato.

La coppia mantovana impugnava la sentenza di Corte di Appello di Brescia che ne rigettava l'appello poichè riteneva che il ginecologo al quale si erano rivolti, seppur edotto circa la volontà di interrompere la  gravidanza in caso di malformazioni al feto, aveva omesso di informare la paziente circa la possibilità di effettuare ulteriori accertamenti previsti dalla scienza medica. In sostanza, i coniugi mantovani ritenevano che il medico aveva ritenuto bastevole, ai fini della esclusioni delle eventuali patologie malforanti per il feto, il solo esperimento del bi-test.

La Suprema Corte ha ritenuto fondate le doglianze della paziente ed ha condannato il medico per violazione dell'obbligo di informazione.

Il ragionamento della Corte di Cassazione, muovendo dall'analisi dell'artt. 1218 e 2236 del Codice Civile, si è soffermata sugli obblighi e le responsabilità derivanti per il debitore, segnatamente del prestatore d'opera, nell'ambito dei rapporti contrattuali.

L'art. 1218 c.c. , il quale si inquadra all'interno delle norme previste in materia di inadempimento di obbligazioni contratte tra i privati nell'ambito dei rapporti giuridici negoziali inter partes, dispone che il debitore (nel nostro caso, il ginecologo) che non esegua esattamente la prestazione dovuta, da eseguire nel rispetto dei canoni civilistici di cui all'art. 1176 - diligenza del buon padre di famiglia e fermo restando che nell'adempimento di obbligazioni inerenti l'esercizio di un'attività professionale tale diligenza va valutata con riguardo alla natura dell'attività esercitata- è tenuto al risarcimento del danno nei confronti della parte cui è venuto meno salvo i casi di esclusione dell'attribuzione della responsabilità civile. Responsabilità civile che, ai sensi dell'art. 1256 c.c., viene esclusa quando ricorre il caso di impossibilità sopravvenuta sia avvenuto per causa non imputabile al creditore. Impossibilità sopravvenuta che può essere: temporanea, definitiva e parziale.

Completa il quadro normativo di riferimento della Suprema Corte la disposizione di cui all'art. 2236 c.c. la quale, per quanto concerne le prestazioni che implicano soluzioni di problemi tecnici di speciale difficoltà, prevede l'attribuzione di responsabilità solo in caso di dolo o colpa grave, mentre viene esclusa l'attribuzione di responsabilità nei casi di colpa lieve (cd. interventi seriali).

Orbene, la Corte di Cassazione, alla luce del summenzionato quadro normativo di riferimento, ha ritenuto che il convenuto in parola (il ginecologo), nell'ambito del rapporto contrattuale che si era instaurato con la paziente, aveva l'obbligo di informare quest'ultima circa la possibilità di ulteriori esami diagnostici effettuabili al fine di conoscere preventivamente l'eventuale presenza di patologie fetali. Cosi facendo, avrebbe dato modo alla ricorrente (paziente) di esercitare in autodeterminazione il suo diritto all'interruzione della gravidanza entro il primo trimestre.

L'omesso adempimento di tale obbligo, cui il medico era dovuto in virtù del rapporto contrattuale esistente, configura la responsabilità medica del sanitario in parola con conseguente diritto della ricorrente al risarcimento dei danni subiti. Il convenuto (medico) avrebbe dovuto usare la diligenza del buon padre di famiglia, rinforzata dal fatto che si trattava di prestatore d'opera intellettuale volto alla soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, al fine, non solo, di consentire una gravidanza serena ma anche di prevenire la nascita di un figlio affetto da patologie. Il medico era obbligato ad informare la paziente in merito all'esistenza di diverse ed ulteriori attività di indagine volte a far emergere l'eventuale presenza di malformazioni fetali dimodochè (la paziente) avrebbe potuto liberamente autodeterminarsi all'interruzione della gravidanza. Inoltre, tale onere, in considerazione del rapporto contrattuale esistente tra le parti, gravava unicamente ed esclusivamente, in capo al sanitario soccombente nel giudizio di legittimità (medico), non potendo chiedere alla paziente null'altro che l'allegazione della domanda giudiziale.

Pertanto, alla luce delle considerazione svolte sopra, la Corte di Cassazione ha cassato la sentenza delle Corte di Appello di Brescia ed ha ritenuto che, in materia di colpa medica, l'onere della prova, ai sensi degli artt. 18, 30 e 32 del Codice Deontologico Medico, è a carico del sanitario procedente.

Estensione soggettiva del giudicato: l'accoglimento dell'appello proposto dal chiamato in garanzia esplica i suoi effetti anche nei confronti del garantito (seppur rimasto inerte)

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Estensione soggettiva del giudicato: l'accoglimento dell'appello proposto dal chiamato in garanzia esplica i suoi effetti anche nei confronti del garantito (seppur rimasto inerte)

Chiamata in garanzia. Effetto del giudicato tra le parti. Estensione soggettiva del giudicato.  Chiamata in causa di un terzo nel processo in caso di garanzia. Distinzione tra garanzia propria e impropria. Irrilevanza.

La Corte di Cassazione, Sezioni Unite, con Sentenza n. 24707 del 4 Dicembre 2015, chiamata in causa dalla Corte di Cassazione, Terza Sezione, Ordinanza Interlocutoria n. 16780 del 23 Luglio 2014, al fine di decidere quali fossero gli effetti del giudicato processuale prodottosi in seguito a chiamata in garanzia ai sensi dell'art. 1917 del Codice Civile, ha chiarito l'esatta portata del principio di estensione soggettiva del giudicato.

La faccenda trae inizio nel 2002 quando un coppia di coniugi bolognesi conveniva in giudizio una ditta di traslochi per risarcimento danni al proprio mobilio. La coppia bolognese richiedeva la condanna del convenuto (ditta di traslochi) al pagamento una somma di denaro oltre quella già risarcita, in via stragiudiziale, dalla compagnia assicuratrice che copriva la ditta di traslochi per la responsabilità civile.

La ditta di traslochi, regolarmente costituitasi in giudizio dinnanzi al Giudice di Pace di Bologna, ai sensi dell'art. 1917 del Codice Civile, chiamava in garanzia il proprio assicuratore il quale, costituitosi in giudizio, veniva condannato al risarcimento dei danni in favore dei coniugi bolognesi.

Entrambi i convenuti proponevano appello avverso la sentenza di condanna del Giudice di Pace di Bologna.

L'assicuratore proponeva appello principale avverso la sentenza di condanna del Giudice di Pace di Bologna per i seguenti motivi: a) taluni tipi di danni esulavano dalla copertura assicurativa prevista in polizza; b) non era stati provati a sufficienza i danni in causa. La ditta di traslochi proponeva appello incidentale contestando: a) la fondatezza dell'appello principale ed b) invocando, in via subordinata, l'operatività della garanzia assicurativa.

Il Tribunale di Bologna, in sede di appello, rigettava l'istanza della ditta di traslochi mentre accoglieva l'appello principale dell'assicuratore e, in riforma della sentenza di primo grado, revocava tale statuizione nei confronti di quest'ultimo e lasciava inalterata la condanna al risarcimento dei danni nei confronti della ditta di traslochi adducendo che nell'atto di appello presentato la ditta di traslochi si doleva solamente del mancato accoglimento della domanda riconvenzionale e non della propria condanna al risarcimento dei danni in favore dei coniugi bolognesi.

Così deciso, la ditta di traslochi decideva di proporre ricorso per cassazione avverso la sentenza di appello invocando il principio di inscindibilità ed interdipendenza cui l'art. 1917 del Codice Civile.

In sostanza, la ditta di traslochi riteneva che la chiamata in causa del proprio assicuratore nei confronti del terzo danneggiato, integrando un'ipotesi di cd. garanzia propria, il Tribunale di Bologna avrebbe dovuto revocare la condanna anche nei confronti della garantita (ditta di traslochi) e non ritenere ferma la condanna solo per la convenuta ditta  di traslochi seppur in mancanza di una specifica presentazione della sentenza di merito proposto, invece, dal solo assicuratore.

Orbene, alla luce di tutto ciò, la Terza Sezione Civile della Corte di Cassazione inviava la causa alla Suprema Corte al fine di esprimersi sull'esatta estensione del giudicato processuale civile formantisi in seguito a chiamata in garanzia ai sensi dell'art. 1917 del Codice Civile.

A questo punto è intervenuta la Corte di Cassazione, a Sezioni Unite.

Il ragionamento della Suprema Corte ha preso piede muovendo dall'analisi delle situazioni processuali che si verificano con l'entrata in scena del terzo in seguito alla chiamata di parte (chiamata in garanzia) la quale, secondo autorevole dottrina, può essere: chiamata in garanzia propria e chiamata in garanzia impropria.

Siamo in presenza della prima quando la connessione tra le parti trova giustificazione all'interno di un rapporto giuridico sottostante, mentre siamo in presenza della seconda quando l'operatività di tale figura discende dall'accadimento di un fatto storico al cui avverarsi un soggetto è tenuto a farsi carico delle conseguenze negative scaturenti dal fatto sfavorevole.

Inoltre, all'interno della categoria delle garanzie proprie, la dottrina è solita distinguere tra cd. garanzie formali ((ad esempio, art. 1493 in tema di evizione totale della cosa ed art. 1266 in tema di obbligo di garanzia della cosa) e cd. garanzie semplici (ad esempio, art.1298 in tema di azione di regresso del condebitore ed art. 1950 c.c. in tema di regresso del fideiussore verso il debitore principale).

Orbene, la Suprema Corte ha ritenuto che l'effetto della chiamata in garanzia non presenta problemi di sorta quando si versi in ipotesi di giudicato positivo per il garantito e, quindi, non pregiudizievole per il garante (assicuratore) mentre, la questione appare meritevole di approfondimento, nel caso in cui il giudizio sia stato sfavorevole al garantito (ditta di traslochi)

In tal caso, la soccombenza del garantito esplica, seppure implicitamente, i suoi effetti nei confronti del garante. Infatti, è in quanto è in capo a quest'ultimo che andranno ad esplicarsi gli effetti sfavorevoli della pronuncia di soccombenza emessa in capo al garantito.

Versando in tale situazione, emerge con chiarezza che l'interesse del garante è quello di vedersi riconoscere la possibilità di poter esperire tutti i mezzi a tutela delle proprie ragioni in quanto, essendo parte soccombente -latu sensu-  ha interesse a ribaltare in positivo la pronuncia sfavorevole emessa a carico del proprio litisconsorte processuale. D'altro canto sarebbe difficile da inquadrare una preclusione normativa di esperire i mezzi a tutela delle proprie ragione specialmente nel caso in cui si tratti di litisconsorte processuale, legittimato ad agire ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 1917 c.c.

Parimenti, l'interesse del garantito è quello di vedersi applicare, per estensione del giudicato alla sua posizione processuale, le eventuali pronunce di ribaltamento della sentenza di primo grado emessa in seguito alla presentazione dell'atto di appello da parte del solo garante.

Alla luce delle suesposte considerazioni appare del tutto fuori luogo pensare ad un construtto processuale composto di due cause distinte e separate all'interno dello stesso perimetro processuale, mentre  appare maggiormente rispondente a realtà parlare di una sola causa originaria il cui piano soggettivo si è evoluto in seguito della chiamata in causa del garante. Ne consegue la impossibilità di esistenza di una sentenza di appello che possa accogliere la sola domanda del garantito (ditta di traslochi) oppure, viceversa, accogliere la sola richiesta del garante-appellante impedendo la produzione degli effetti caducatori nei confronti di entrambe le parti in virtù del surrichiamato principio di inscindibilità e interdipendenza connaturato alla disposizione normativa di cui all'art. 1917 del codice civile.

Pertanto, il Tribunale di Bologna, ritenuto fondate le ragioni del garante (assicuratore) poste a fondamento dell'atto di appello avrebbe dovuto, parimenti, consentire la produzione degli effetti caducatori della sentenza impugnata, in capo ad entrambi i litisconsorti processuali.

Secondo il principio affermato dalle Sezioni Unite, la pronuncia di accoglimento della sentenza impugnata dal garante (assicurazione) estendeva i suoi effetti anche a favore del garantito (ditta di traslochi) a prescindere dall'avvenuta presentazione dell'atto di appello.

Alla luce delle predette considerazioni, la Suprema Corte ha cassato la sentenza impugnata (quella del Tribunale di Bologna) ed ha confermato l'estensione del giudicato nei confronti anche del garantito (ditta di traslochi).



giovedì 17 dicembre 2015

Azione di rilievo: impossibile liberarsi dopo il pagamento da parte di uno dei confideiussori (solo surrogazione o regresso)


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Azione di rilievo: impossibile liberarsi dopo il pagamento da parte di uno dei confideiussori (solo surrogazione o regresso)

La Corte di Cassazione, Sezioni Unite, con sentenza n. 24822 del 9 Dicembre 2015, Relatore Roberta Vivaldi, è intervenuta in materia di fideiussione con particolare riguardo all'azione di rilievo di cui agli art. 1953 del Codice Civile.

La Corte di Cassazione con la sentenza  in commento ha stabilito che, in materia di rapporti tra fideiussore e debitore principale, l'avvenuto pagamento ad  opera di uno dei confideiussori, in luogo del debitore principale, esclude la possibile applicazione del rimedio normativo di cui all'art. 1953 del Codice Civile (cd. azione di rilievo).

Attraverso il meccanismo di cui all'art. 1953, il fideiussore ha la possibilità di sciogliersi dal vincolo fideiussorio attraverso l'esercizio della cd. azione di rilievo, la quale, a sua volta, può essere: a) azione di rilievo per liberazione (completo scioglimento del vincolo) oppure b) azione di rilievo per cauzione (predisposizione di una cauzione nel caso in cui il fideiussore percepisca uno stato di pecunia defectum).

Orbene, alla luce della sentenza in commento, la Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, ha chiarito che l'art. 1953 del Codice Civile è un rimedio di carattere preventivo e cautelare e, in quanto tale, non trova applicazione quando i presupposti per il suo esercizio vengono meno (l'effettuazione del pagamento).






giovedì 3 dicembre 2015

Obbligo di cose in custodia: tocca al giudice del merito valutare l'attribuzione del grado di responsabilità alla causazione dell'evento dannoso

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Obbligo di cose in custodia: tocca al giudice del merito valutare l'attribuzione del grado di responsabilità alla causazione dell'evento dannoso.

Facendo seguito alla pubblicazione della Sentenza Corte Cassazione n. 23212 del 13 Novembre 2015, Relatore Francesco Maria Cirillo, si procede alla disamina della questioni giuridiche in essa contenute.

La Corte di Cassazione, con la pronuncia in commento, ha stabilito che la l'attribuzione del grado di responsabilità, totale o parziale, in merito alla causazione dell'evento dannoso compete al giudice del merito.

In sostanza, tocca al giudice di prime cure ed alle corti territoriali, valutare (a) "se" ed (b) in "quale misura" il fatto colposo del danneggiato (negligenza, imperizia, imprudenza) concorra ad interrompere, parzialmente o totalmente, il nesso di causalità tra la cosa in custodia e l'evento dannoso.

Il ragionamento della Suprema Corte è stato questo: siccome la responsabilità per i danni cagionati da cose in custodia prevista dall'art. 2051 del Codice Civile prescinde dall'accertamento del carattere colposo, ma se ne risponde per la sola esistenza del rapporto eziologico tra cosa ed evento, salvo che non si tratti dell'ipotesi prevista e disciplinata dall'art. 1256 (impossibilità sopravvenuta definitiva o temporanea), si esclude l'addebito di responsabilità solo nell'ipotesi di caso fortuito che può essere rappresentata - liberando il responsabile totalmente o parzialmente dall'attribuzione della responsabilità - anche dallo stesso danneggiato la cui condotta causale sia stata in grado di interrompere il nesso eziologico intercorrente tra la cosa e l'evento o tale da poter essere considerato del giudice di merito quale "contributo utile" nella  produzione del danno.

mercoledì 2 dicembre 2015

Danno non patrimoniale: giudice obbligato a motivare adeguatamente i criteri assunti a base del procedimento valutativo

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Danno non patrimoniale: giudice obbligato a motivare adeguatamente i criteri assunti a base del procedimento valutativo

La Corte di Cassazione, con sentenza n. 21782 del 27 Ottobre 2015, Relatore Luigi Alessandro Scarano, in merito alla liquidazione del danno non patrimoniale di cui all'art. 2056 del Codice Civile, ha stabilito che il giudice, qualunque sia il sistema di quantificazione prescelto, esso debba essere adeguatamente motivato.

La Suprema Corte, rifacendosi al proprio orientamento giurisprudenziale di cui alla Sentenza n. 1361 del 23 Gennaio 2014, Relatore Scarano, ha chiarito, riallacciandosi all'orientamento giurisprudenziale di cui alla Sentenza n. 12408 del 7 Giugno 2008, Relatore  Amatucci, che l'operato del giudice deve essere mosso dalla sola applicazione del  principio di equità.

Una quantificazione del danno non patrimoniale si definisce se equa quando è a) adeguata e b) proporzionata in relazione alle circostanze concrete del caso specifico, venendo così esclusa qualsiasi forma di liquidazione di carattere simbolico o irrisoria o non correlata all'effettività del danno da ristorare. Mentre si definisce congrua quando risponda al (a) principio di effettività del ristoro e (b) al principio di perequazione, nel senso di rispettare la diversità dei singoli casi concreti.

La Cassazione ha escluso la possibilità di liquidazione di danno non patrimoniale effettuata in base a criteri meramente "puri", cioè prefissati, automatici, ma ha ribadito che l'orientamento del giudice, nella liquidazione del danno non patrimoniale, vada effettuata alla luce di criteri capaci di garantire l'uguaglianza sostanziale dell'avente diritto: qualunque sia il criterio prescelto dal giudice nella liquidazione del danno non patrimoniale, esso deve essere in grado di garantire l'applicazione del principio di equità dal punto di vista sostanziale.

In sostanza, il giudice di prime cure e quello di seconda istanza, fermo restando l'autonomia decisionale previsto dalle leggi vigenti, sono chiamati a dare conto nelle motivazioni del processo logico in base al quale la decisione è stata assunta indicandone i criteri valutativi che hanno ispirato la pronunzia di merito.

Tale scrutinio mira alla verifica del controllo di logicità, coerenza e congruità cui ciascuna motivazione decisionale deve rispondere. Tale controllo è richiesto al fine di evitare la cassazione della pronuncia di merito in sede di legittimità. Ciò in particolare modo nel caso in cui si tratti del cd. danno morale inteso quale patema d'animo o sofferenza interiore o perturbamento psichico (danno morale soggettivo) cui le Sentenze n. 26972/3/4/5 del  11 Novembre 2008, cd. Sentenze di San Martino, ne hanno radicalmente mutato la precedente accezione. Infatti, a seguito delle richiamate pronunce del 2008, il concetto di danno morale ha assunto diversi ed ulteriori significati. Attualmente, nel concetto di danno morale sono ricomprese le lesione della dignità o integrità morale, anche laddove la sofferenze interiore non degeneri in danno biologico o in danno esistenziale.

In conclusione, ai fini di una corretta adozione del provvedimento di liquidazione del danno non patrimoniale, è necessario che il giudice provveda a motivare adeguatamente i criteri posti alla base del provvedimento adottato.



Danno non patrimoniale: la Corte di Cassazione dice si al risarcimento per le associazioni non riconosciute

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Danno non patrimoniale: la Corte di Cassazione dice si al risarcimento per le associazioni non riconosciute.

La Corte di Cassazione con sentenza n. 23401 del 16 Novembre 2015, relatore Antonio Pietro LAMORGESE, ha rigettato il ricorso di Grassano Raffaella, in proprio ed in qualità di legale rappresentante dell'associazione senza fini di lucro denominata ABRUZZO-ONLUS, con la quale chiedeva la cassazione della sentenza della Corte d'Appello de L'Aquila emessa in suo sfavore.

La ricorrente Grassano chiedeva l'annullamento della sentenza del giudice di appello sulla base di sei motivi: 1. per non avere la Corte di Appello de L'Aquila rilevato l'inammissibilità delle domande risarcitorie (dei controricorrenti ASSOCIAZIONE NAZIONALE CONTRO LE LEUCEMIE - LINFOMI ONLUS e ASSOCIAZIONE ITALIANA CONTRO LE LEUCEMIE, AIL, SEZIONE DI PESCARA) in quanto prive di specificazione; 2-3. per aver la Corte di Appello di L'Aquila accordato la tutela aquileiana di cui all'art. 2043 ad un'associazione, sostanzialmente, abusiva in quanto priva del riconoscimento regionale abilitante all'esercizio dell'attività di volontariato; 4. per violazione della normativa codicistica in tema di danno non patrimoniale di cui all'art. 2059 del codice civile; 5 per violazione della dell'art. 2059 c.c. in relazione all'art. 2697 c.c., in materia di onere della prova, in quanto la Corte di Appello ha condannato la ricorrente alla risarcimento dei danni all'immagine ed alla reputazione dell'AIL NAZIONALE e dell'AIL PESCARA in mancanza di prove specifiche a riguardo; 6. per eccessiva onerosità della liquidazione delle spese processuali.

La Corte di Cassazione ha rigettato "in toto" il ricorso della Grassano.

I giudici della Suprema Corte hanno ritenuto infondate e prive di accoglimento le questioni poste alla base del ricorso per cassazione della Grassano.

In particolare, i giudici di legittimità, rifacendosi alla Sentenza Cass. 1476/2007, hanno stabilito che le associazioni non riconosciute, ancorchè in via di perfezionamento del percorso burocrativo-amministrativo, sono da considerare come centri di imputazioni di situazioni giuridiche. 

Proseguendo nel ragionamento, la Suprema Corte, richiamando l'art. 2 della Costituzione in tema di diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo che nelle formazioni sociali cui svolge la sua personalità, ha sancito ha dichiarato la validità di predetta tutela alle associazioni non riconosciute, a prescindere dall'accertamento dei titoli abilitativi all'esercizio.

I giudici della Suprema Corte hanno sancito che compete il risarcimento danni non patrimoniale alle associazioni non riconosciuto per l'utilizzo abusivo della loro denominazione. La ratio della tutela risarcitoria è quella di preservare l'integrità dei mezzi economici in modo da consentirne lo svolgimento dell'attività precipuo.

La Corte di Cassazione, per quanto riguarda la questione della conferma della sentenza della Corte di Appello de L'Aquila che prevedeva il pagamento di una somma di denaro in favore dell'AIL PESCARA a titolo di risarcimento danni non patrimoniale ex art. 2059 c.c., ha specificato che tale somma si configura quale conseguenza pregiudizievole della lesione dei diritti immateriali della personalità subiti dall'associazione non riconosciuta (seppur privi di una vera e propria collocazione fisica ma rientranti, comunque, nel novero dei diritti costituzionalmente protetti) da tenere ben distinta dalla cd. pecunia doloris.



mercoledì 18 febbraio 2015

Incidente stradale ? Danno risarcibile anche a persona diversa dal proprietario





Incidente stradale ? Danno risarcibile anche a persona diversa dal proprietario


La Corte di Cassazione, con Sentenza n. 3082/15 del 16.02.2015, ha stabilito che, in caso di sinistro stradale, il risarcimento del danno può essere richiesto ed ottenuto anche chi non è proprietario del veicolo danneggiato (possessore, detentore, utilizzatore, leasingatario).

Il diritto al risarcimento del danno compete anche a chi ha il possesso o la detenzione del veicolo previa esibizione delle ricevute di pagamento.

A tal fine, è necessario produrre una fattura per la riparazione intestata a colui che avanza la richiesta di risarcimento

Il risarcimento del danno può essere ottenuto da colui che ne ha semplicemente il possesso (per esempio, in caso di noleggio o di leasing) o la detenzione (per esempio in caso di prestito).


In conclusione, le condizioni necessarie acchè sia risarcito una persona diversa dal proprietario intestatario del veicolo danneggiato sono:
– titolo legittimo in virtù del quale è obbligato a tenere indenne il proprietario (per esempio un contratto di comodato, di leasing, ecc.)
– titolo fiscale che dimostri di aver effettuato la riparazione a proprie spese.

sabato 25 gennaio 2014

Auto sbatte contro guardrail e perde olio e detriti ?





Auto sbatte contro guardrail e perde olio e detriti ?

Niente panico, le spese sostenuto per il ripristino delle normali condizioni stradali sono a carico dell'assicurazione della vettura sversante. 

L'intervento del personale specializzato giunto sul posto per ripristinare la corretta circolazione stradale sono a carico dell'assicurazione della  vettura sversante. 

Ad esempio,
il rimborso delle spese di chiamata di ditte specializzate nella raccolta e del successivo smaltimento dell'olio fuoriuscito dalla vettura, della successiva miscela velenosa venutasi a creare in seguito all'aggiunta di acqua piovana a tutto l’olio disperso dall'autocarro ed i detriti presenti sulla carreggiate, sono a carico della compagnia assicurativa che copre la vettura.

Per maggiori informazioni ed ulteriori chiarimenti,
clicca qui

Grazie

martedì 22 ottobre 2013

Sempre vicino, 24 ore su 24


"Sempre vicino" è questa la filosofia dello Studio Legale Madonna.

Lo Studio Legale Madonna è una moderna ed efficiente struttura professionale in grado di assicurare i propri servizi 24 ore su 24, sette giorni su sette per tutti i mesi dell'anno, festività comprese.

Ogni momento è quello giusto per richiedere l'intervento "in diretta" di un addetto dello Studio Legale Madonna in tema di risarcimento danni.

Basta chiamare allo: 333.14.14.505 e riceverai supporto, assistenza e consulenza in maniera chiara e precisa, subito.

Grazie

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